Senso del dovere #1

Ecco qual è, secondo la mia psicoterapeuta, la ragione di tutti i mali o per lo meno l'ultimo trovato.. quello precedente sembrava essere l'altruismo che non mi permetteva di ascoltare me stessa.
Bene, da dove deriva questo senso del dovere?
E' incredibile che questa storia  mi sia uscita soltanto ora anche perché solitamente è la prima che racconto a tutti quelli con cui prendo un po' di confidenza, raccontandogli della mia infanzia e adolescenza.
Il nuoto!
Porca troia nasce tutto quanto da quegli anni lì.
Ho incominciato a nuotare, con mia cugina, all'età di 3 anni: precoce e subito lanciata in acqua senza capricci! Ho nuotato tanto e mi piaceva tanto: le gare, i collegiali, le pizze dopo le competizioni, i compleanni con quelli del nuoto..
Poi si cresce e cresce anche l'impegno: si nuota un'ora la mattina prima di andare a scuola, si va a scuola e si dorme sui banchi, si esce e si torna a nuotare per due ore poi, se tutto va bene si poteva tornare a casa a studiare, altrimenti, tre volte a settimana, si faceva anche allenamento a secco (palestra).
Arrivata a 13 anni, le prime cotte, il primo sentirsi grande, io e mia cugina abbiamo deciso che volevamo smettere ma mentre per mia cugina è stato semplice perché nulla le è mai stato imposto; per me no.
Io non potevo smettere perché avevo la scoliosi, mi pareva buona come scusa ed ho proseguito ma il mio rendimento ha incominciato a scendere e le ripercussioni erano tante: i miei che seguivano i miei allenamenti e mi suggerivano da dietro il vetro come battere le gambe oppure tenevano il viso imbronciato se per caso non rendevo abbastanza.
Alle gare era un continuo "se batti Tizia ti faccio un regalo" e puntualmente i risultati venivano disattesi e seguiva il viaggio di ritorno pieno di insulti sul fatto che agli allenamenti andavo bene ma poi alle gare "sembra che lo faccio apposta".
Non mi è mai andata giù questa frase: ho sempre fatto del mio meglio anzi di più perché pensavo che se avessi dimostrato di saper fare e di ottenere risultati, magari c'era possibilità di smettere al top.
Invece niente sempre peggio.. un giorno mi sono persino chiusa in camera e mi ero ripromessa di non uscire per nulla al mondo, poi la minaccia "guarda che chiamo i pompieri!" e lì sono crollata.. ho immaginato questi "poretti" abituati a salvare vite costretti a venire in casa nostra a buttar giù una porta perché io non volevo andare a nuotare e così.. mesta mesta, ho aperto la porta e mi sono lasciata portare agli allenamenti col solito groppo sullo stomaco.
Poi il primo moroso, all'età di 16 anni e la ribellione totale: non voglio più andare in piscina e basta! Ho smesso, ma era solo un'illusione.
Mio padre dopo pochi mesi aveva già pronto un contratto che prevedeva l'elargizione di una paghetta (ridicola), un lettore mp3 di ultima generazione, l'uso del motorino (lo avevo già ma non potevo usarlo senza la bolla papale controfirmata da entrambi i miei genitori), una tuta nuova, uno spiraglio di mezzora in più il sabato sera (dalle 23.30 alle 24) e.. udite udite.. il viaggio in Carpegna ogni volta che andavano su i genitori del mio morosino in maniera tale da poter stare sempre insieme!
Se non accettavo le condizioni non saremmo mai andati in Carpegna quando andavano loro ma, anzi, si faceva il week che loro non c'erano e non ci saremo mai visti.
Non ho potuto non accettare ed eccomi nuovamente nello sconforto degli allenamenti senza fine e delle gare infami.
Non mi piace la competizione, non mi è mai piaciuta e ci ero dentro nuovamente con tutte le scarpe e mia madre che perpetrava l'idea assoluta di mio padre che "il nuoto mi faceva soltanto bene" e che visto che lui non poteva andarci perché era allergico al cloro, io dovevo fare ciò che lui non poteva fare.

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